Verso la fine del colloquio, il cliente si è posto un dubbio “La relazione con il mio partner è basata sui bisogni? È questo ciò che ci unisce?”. Come counselor, percependo l’inquietudine che stava vivendo il cliente, ho condiviso con lui una teoria espressa da Erica Poli che permette di osservare le dinamiche della coppia secondo tre fasi: il bisogno, il desiderio, l’unione.
Comprendere le diverse motivazioni che portano alla formazione di una coppia aiuta a vivere la relazione con maggiore consapevolezza. Le coppie, infatti, spesso attraversano diverse fasi, passando dal soddisfare bisogni e desideri alla costruzione di un legame duraturo e un progetto di vita.
Se prima dell’intervento il cliente vedeva solo l’elemento del bisogno come totalizzante e da questa visione sentiva di essere schiacciato, dopo l’intervento la sua prospettiva si è allargata a una coppia che può avere alcuni aspetti della coppia nel bisogno, ma che tutto ciò può far parte di un percorso di crescita condivisa. Ha avuto così accesso a una modalità nuova che ha aperto orizzonti di lavoro, come se in questo modo le difficoltà attuali potessero avere una direzione, potessero essere incanalati attraverso questa nuova modalità. In una sola parola: una prospettiva.
Al termine del colloquio il cliente mi ha detto che la mia condivisione finale l’ha aiutato perché l’ha fatto sentire meno in colpa. Si è sentito più tranquillo capendo che il bisogno può essere un elemento di una coppia in evoluzione.
[cliente] “Sembra che tutto quello che faccia non sia abbastanza, non mi sento mai adeguata.”
[counselor] “Cosa significa per te essere abbastanza?”
La domanda del counselor è stata importante per permettere un approfondimento su una parola che la cliente adottava in modo non del tutto consapevole, senza averne indagato il significato più profondo.
Il colloquio prosegue sul suo essere donna:
[cliente] “Non mi sento ancora pienamente donna”
Qui, grazie alla tecnica della visualizzazione, il counselor guida la cliente ad immaginare la figura ideale di donna che lei ha dentro di sé. Ne emerge una descrizione, a seguito della quale il counselor chiede:
[counselor] “Quindi, cosa manca alla te stessa attuale per essere donna?”
Se la prima domanda aveva aiutato la cliente ad approfondire questo tema, la seconda domanda le aveva permesso di giungere a questa sorprendente conclusione:
[cliente] “Ho uno stereotipo! Non me n’ero mai accorta! Ho infatti visualizzato una donna fiera, forte, quasi cupa nella sua forza, ma le manca freschezza, leggerezza, ciò che per me la renderebbe viva!”
Lo stupore era palese nella cliente. Quando in colloquio sopraggiunge l’emozione della sorpresa, si è giunti a un punto importante che richiede la giusta attenzione. La rielaborazione cognitiva finale è stata fondamentale perché ha permesso alla cliente di consolidare l’idea che, avendo visto di essere agita da uno stereotipo che non le apparteneva, aveva ora la possibilità di creare il proprio modello, di creare la sua immagine di donna.
Durante il colloquio si è parlato della difficoltà del cliente di scegliere se continuare l’attuale percorso di studio o scegliere un percorso meno impegnativo e che gli permettesse di rivolgere maggiore attenzione anche ad altri aspetti della vita. Verso la fine il cliente ha posto questa domanda:
[cliente] “Secondo te è giusto che faccia questa prova e tra un mese decida se cambiare percorso di studi?”
In questo, invece che rispondere alla domanda, gli ho chiesto se in realtà vuole sapere qual è la mia personale opinione del fatto che lui scelga un percorso di studi di minor difficoltà.
La continuazione del colloquio ha infatti evidenziato il disagio che il cliente aveva nei confronti della scelta di un piano di studi meno oneroso, legato all’idea che scegliere una scuola meno impegnativa fosse inaccettabile perché vissuta come una scelta debole. Al termine della sua riflessione ha capito che si trattava di un tema di orgoglio. È bastato comprendere questo per innescare delle riflessioni che tempo dopo gli hanno permesso di legittimarsi un percorso diverso per poter dare spazio anche ad altri aspetti per lui importanti, dei quali prima si privava.
La cliente ha portato varie situazioni inerenti la scuola del figlio, la maestra che sembra non badare al figlio e la cliente che prova frustrazione, impotenza, rabbia. Teme che il figlio senta questo suo stato d’animo e quindi che lei possa non essere una buona madre (ricordate la domanda “Cosa significa per te essere…?“).
Durante la fase di Focusing, abbiamo lavorato sulle sue parti (o sub-personalità, o lati caratteriali), in particolare quella della madre, che sembrava muovere il vissuto più forte.
Il counselor si è quindi rivolto a quella sua parte che desiderava essere una buona madre chiedendo:
[counselor] “Di che cosa hai bisogno?”
E tutto è cambiato. La risposta è stata sorprendente:
[cliente] “Non dimenticarti di me…”
[cliente, continuando] “Mi sto dimenticando di essere me stessa per essere a tutti i costi una buona madre.”
In quel momento si è verificato un cambiamento anche a livello fisico (che tecnicamente si chiama felt-shift): il ventre si è ammorbidito e dal cuore è emerso un piacevole calore, come un’energia curativa che si stava prendendo cura della parte. È stato un momento intenso che ha portato chiarificazione riguardo alla situazione, che inizialmente sembrava avere il focus sulle difficoltà del figlio, ma si è rivelato anche un disagio personale riguardante il suo ruolo di madre e la sua vita.